Abuso del diritto



Assai dibattuta è la possibilità di configurare nell'ambito del diritto civile una condotta abusiva del titolare del diritto soggettivo, intesa come "cattiva condotta", come comportamento non conforme ad un corretto uso del diritto.

In tanto è dato infatti di poter riferire di abuso del diritto, in quanto vi sia un utilizzo della situazione giuridica soggettiva attiva non conforme al fine per il quale essa è stata prevista nota1. Etimologicamente il termine abuso significa infatti "uso non conforme", "utilizzo abnorme". Il tema dell'abuso è familiare nella scienza del diritto amministrativo, essendo il potere dell'amministrazione conferito alla stessa per la cura di un interesse superiore, al quale pertanto occorre conformare l'esercizio, ma non pare altrettanto fruibile nell'ambito privatistico. E' possibile formulare, in relazione alla condotta del proprietario che sta esercitando il suo diritto godendo del bene che gli appartiene, un giudizio di abusività della di lui condotta?

Si dovrebbe in precedenza individuare una finalità per il cui perseguimento il diritto fosse stato assegnato al titolare. L'ordinamento consentirebbe pertanto il controllo delle modalità di utilizzo nota2.

La risposta sembra dipendere dalla consistenza della situazione soggettiva attiva di cui gode il proprietario. Se è vero che il diritto di costui gli viene assicurato per soddisfare esclusivamente il proprio interesse (senza che sia data la possibilità di rinvenire ulteriori interessi la cui cura si debba perseguire), diventa estremamente difficile ipotizzare una condotta abusiva.
Per questo motivo tradizionalmente si dice che colui che esercita il proprio diritto soggettivo non è tenuto a risarcire gli altri soggetti in relazione agli eventuali pregiudizi che il corretto esercizio di questo diritto possa aver loro cagionato, ciò che suole compendiarsi con il brocardo qui iure suo utitur neminem laedit.

Il progetto originario delle preleggi al cod.civ. prevedeva un articolo 7, poi eliminato, il quale prendeva in espressa considerazione la figura dell'abuso (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2831/90 ) nota3.

Secondo un'autorevole opinione nota4 la figura dell'abuso del diritto non esisterebbe nell'ordinamento civilistico. Si potrebbe eventualmente porre un problema di limiti del diritto, di eventuale eccesso di diritto, cioè di condotte illecite nota5. Il ragionamento sotteso a questo parere negativo è il seguente: se il diritto attribuisce dei poteri per il perseguimento di un certo interesse (quello del titolare), ove questo interesse non v'è in concreto, non v'è allora neppure diritto. Si avrà esercizio esorbitante dei poteri che violano i doveri di solidarietà nota6.
L'atto emulativo di nessuna utilità per il proprietario del fondo non vale a perseguire nessun interesse del proprietario stesso.

Si badi al fatto che il limite costituito dall'interesse concreto del titolare del diritto viene considerato da alcune norme, quali ad esempio l'art. 840 cod.civ. (in base al quale il proprietario del fondo non può opporsi a che si svolgano da parte di terzi attività al di sopra o al di sotto di esso, a distanza tale da non avere egli alcun interesse ad escluderle).

Occorre osservare che talvolta il termine abuso evoca direttamente una condotta al di fuori del diritto soggettivo, dunque illecita. L'art. 1015 cod.civ. in questa accezione parla di abuso dell'usufruttuario. Si tratta di condotte che integrano una vera e propria violazione degli obblighi facenti capo all'usufruttuario medesimo. Anche nella locazione si parla talvolta di abuso nel godimento come di una modalità non conforme all'obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia: all'accertamento dell'abuso consegue la risoluzione del contratto per inadempimento (Cass. Civ. Sez. III, 390/86). Non diversamente deve riferirsi per il c.d. abuso di biancosegno, cioè di una carta firmata in tutto o in parte in bianco, a fronte del rilascio della quale viene concluso il c.d. negozio di riempimento, ovvero l'accordo in base al quale le parti convengono modi, tempi, contenuto della scritturazione del foglio (Cass. Civ. Sez. III, 3624/96). Si pensi anche al presunto creditore che ottenga l'iscrizione di un'ipoteca giudiziale per un credito che poi si rivela inesistente (Cass. Civ., Sez. III, 6533/2016).
In un certo senso affine a questo caso è quello del promissario acquirente di un immobile in costruzione che proponga domanda di nullità del preliminare ex art. 2 del D. Lgs. 122/2005 a cagione del mancato rilascio della garanzia fidejussoria pur quando essa venga rilasciata in un tempo susseguente dal costruttore (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 30555/2019; Cass. Civ. Sez. II, ord. 19510/2020). Anche nell'ambito delle procedure concorsuali si è fatto ricorso alla figura dell'abuso, per sanzionare la condotta contraria a buona fede e correttezza di chi abbia fatto ricorso al concordato (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 26568/2020).

Altre fattispecie in cui si parla di abuso, come nel caso dell'abuso dell'immagine altrui, rientrano tutte nel concetto di violazione del diritto, non di abuso del diritto in senso proprio.

Alcune norme (artt. 833, 844 , 1175 cod.civ.) sembrano vietare peraltro l'abuso del diritto soggettivo in quanto uso anormale. E' rimarchevole che la giurisprudenza abbia, proprio facendo leva su tale normativa, cercato di stigmatizzare ipotesi in cui l'esercizio di alcune facoltà astrattamente ricomprese nel diritto soggettivo facente capo ad una delle parti, possa in concreto risultare vessatoria, dunque abusiva (cfr. Cass. SSUU 26617/2007 in tema di modalità di adempimento dell'obbligazione pecuniaria). In ogni caso nulla ha a che fare con queste argomentazioni la pretesa di ampliare anche nei rapporti extracontrattuali il relativo paradigma (Trib. Reggio Emilia, 7 luglio 2015).

In alcuni casi il legislatore è intervenuto vietando i c.d. atti di emulazione, vale a dire gli atti posti in essere per nessun altro scopo se non per nuocere ad altri, stabilendo, anche se in modo del tutto generico, che, per quanto concerne il diritto di credito (art. 1175 cod.civ.), il debitore ed il creditore debbono comportarsi secondo le regole della correttezza.

Sono queste norme indice ed espressione di un più vasto principio di carattere generale da reputarsi immanente nel nostro ordinamento nota7 ovvero si tratta di disposizioni di carattere eccezionale, non estensibili analogicamente? nota8

E' chiaro che quest'ultima opinione appare maggiormente ispirata ad esigenze di certezza che si pongono come prioritarie per l'ordinamento.

Sembra infatti pericoloso demandare all'interprete il potere di individuare volta per volta ipotesi concrete di non conformità dell'utilizzo del diritto rispetto ad evanescenti finalità di solidarietà sociale. Occorre tuttavia rilevare come sempre più frequentemente la stessa evoluzione normativa venga ad introdurre fattispecie riconducibili inequivocamente all'ambito in esame. Si pensi alla disciplina relativa alla direzione ed al coordinamento di società di cui all'art. 2497 cod.civ.. La norma evoca la condotta della società che, esercitando attività di direzione e coordinamento di altra società, agisca nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società soggette a tale direzione e/o coordinamento. Non v'è chi non veda come si ipotizzino in tal caso vere e proprie condotte abusive. Il paradigma dell'interesse di un soggetto "altro" (cioè quello della società controllata) rispetto all'agente è eretto quale criterio di valutazione di una condotta (tale quella della società controllante) che altrimenti sarebbe valutata come perfettamente legittima. Va poi notato come la direzione ed il coordinamento possano trarre origine non soltanto dalle partecipazioni nel capitale dell'ente societario, bensì anche da rapporti contrattuali (cfr. art. 2497 septies cod.civ.). Basti pensare alla relazione che si pone tra franchisee e franchisor. E' stato deciso al riguardo che il rapporto contrattuale di cui alla menzionata norma può assumere rilevanza giuridica nell'ipotesi di emanazione di direttive scorrettamente pregiudizievoli per l'ente che si trova in una posizione subordinata. La conseguente responsabilità in capo alla società dominante avrebbe natura aquiliana (Tribunale di Pescara, 16 gennaio 2009).

In materia fiscale la tematica in questione ha conosciuto un revival davvero rimarchevole. L'abuso del diritto viene contestato dall'Amministrazione finanziaria allo scopo di sottoporre a tassazione operazioni economiche in base ad una ricostruzione diversa rispetto allo schema negoziale posto in essere dal contribuente (nel senso di un parziale ripensamento circa la portata di tale sindacato, si veda Cass. Civ., Sez. V, 438/2015). Il tema, affine a quello della elusione fiscale, si presta ad una molteplicità di notazioni che affondano nella valutazione della giustificazione socio-economica dell'attività negoziale. E' stato deciso (Cass. Civ., Sez. VI, 20254/12), con riferimento ad un trust costituito su un immobile di famiglia, che, ai fini dell'abusività dell'operazione, debba essere accertata la ricorrenza di due fattori: a) che il contribuente abbia conseguito un risparmio fiscale; b) che tale vantaggio costituisca la ragione essenziale dell'operazione, non giustificata da ulteriori ragioni economico-sociali, al più marginali. Analogamente si è espressa la S.C. in un caso in cui il contratto di vendita di merci a fini alimentari tra imprenditori appariva esser stato stipulato a condizioni economiche giustificabili soltanto in base al risparmio fiscale conseguito (Cass. Civ., Sez. V, 4535/2013; cfr. anche Cass. Civ., Sez. V, 24914/13). Oppure ancora è stato reputato elusivo il conferimento di un immobile in società preceduto dalla stipula di un mutuo ipotecariamente garantito per abbassare artificialmente l'imponibile (Cass. Civ., Sez. V, 3533/2018).
Esistono, per fortuna, limiti: così non è consentito al Fisco riqualificare dal punto di vista negoziale l'operazione di conferimento di ramo aziendale in una società le cui quote poi siano cedute in alternativa rispetto alla cessione del detto ramo d'azienda (CTR Roma, Sez. XXV, sent. n. 1220/2014). Nello stesso senso cfr. CTP Bologna, Sez. IX, sent. n. 176/2015. Cfr., sostanzialmente nello stesso senso, nell'ipotesi di cessione di quote di società già conferitaria di diritti immobiliari, Cass. Civ., Sez.V, 8760/2015. Nella stessa direzione, in riferimento ad analoga operazione, avente tuttavia ad oggetto la cessione di parchi eolici conferiti in due distinte società, le cui quote sono state successivamente cedute, cfr. Cass. Civ., Sez. V, 2054/2017. Addirittura si è deciso (in una fattispecie di cessione di ramo d'azienda seguita dalla cessione delle quote della società acquirente) come non venga in gioco una riqualificazione causale nell'ambito di una critica afferente alla natura elusiva dell'operazione, ma che la stessa sia soggetta all'ordinario criterio ermeneutico di cui all'art. 20 t.u. 1986 n.131 (Cass. Civ., Sez. V, 6758/2017).
Non mancano inoltre decisioni sorprendenti: così è stato ritenuto che la contestuale cessione di tutte le quote di una società a responsabilità allo stesso soggetto possa essere riqualificata come cessione di azienda (Cass. Civ., Sez. V, 11877/2017). Il pregiudizio alla certezza del diritto e del trattamento fiscale dell'attività negoziale è evidente. Probabilmente è questa la ragione per cui il legislatore è intervenuto con la l. 205/2017 novellando l'art. 20 del T.U. 131/1986, espressamente indicando che l'eventuale riqualificazione giuridica del contratto in sede di registrazione trova un limite negli elementi desumibili dall'atto medesimo, "prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati". Giova però osservare come la norma, entrata in vigore il 1 gennaio 2018, non possieda valenza retroattiva (Cass. Civ., Sez. V, sent. n. 2007/2018). Sulla scorta del predetto art. 20 ci si è spinti fino alla riqualificazione non già causale dell'atto stipulato, ma addirittura dell'oggetto dello stesso (Cass. Civ., Sez. VI-T, 313 del 9 gennaio 2018).

Ancora non è stato ritenuto "abusivo" il ricorso al sale and lease back da parte di una società che vi abbia fatto ricorso, di fatto conseguendo un risparmio fiscale dovuto a fronte della deducibilità delle rate di canone (Cass. Civ., Sez. V, 17175/2015). Altrettanto a dirsi nell'ipotesi di donazione e susseguente vendita da parte del donatario di terreno edificabile, ciò che può valere a scongiurare la tassazione sulla plusvalenza immobiliare (Cass. Civ., Sez. V, 21572/2016). Anche la deduzione fiscale dei canoni di locazione acquistato dalla società di famiglia del professionista che ne sia il conduttore non può essere considerata "abusiva" (CTP Alessandria, Sez. I, 386/2016). Allo stesso esito si è pervenuti in tema di "leverage cash out", che consiste nella complessa operazione al cui esito vengono "estratte" dai soci riserve allocate nel bilancio della società altrimenti assoggettate ad onerosa imposta sulle plusvalenze (CTP Vicenza, Sez. II, 735/2016).
Al contrario è stato reputato elusivo il disegno consistente nella plurima cessione di azienda dalla controllata (rimasta una "scatola vuota") alla controllante, allo scopo di poter fruire della svalutazione dei cespiti trasferiti che non si sarebbe potuta computare in esito ad una semplice fusione per incorporazione (CTR Roma, Sez. XXXV, 5801/2015).
Il "modello" interpretativo pare riscuotere un successo tale da renderlo applicabile universalmente: così esso è stato invocato per negare le agevolazioni relative alla corresponsione agevolata delle imposte per la costruzione della "prima casa" (Cass. Civ., Sez. V, 10807/12). Giova osservare come il concetto di "riqualificazione" dell'atto negoziale non sempre sia foriero di conseguenze nefaste per il contribuente (cfr. CTR Roma, Sez. XIV, 6339/2015 in forza della quale è stata conferita rilevanza alla reale natura liberale dell'atto di vendita intercorrente tra coniugi che, qualora avesse dato luogo ad un reale esborso di denaro, sarebbe stato indice di capacità reddituale in effetti insussistente).

Il legislatore ha sentito l'esigenza, in una materia dai contorni così poco perspicui, di introdurre un quadro normativo volto a consentire una maggior prevedibilità della condotta degli Uffici ed a fornire al contribuente un quadro di maggiore certezza. Con Dlgs 5 agosto 2015, n. 128 è stato così emanato il provvedimento normativo intitolato "Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23". Delicato è, al riguardo, il confine tra "abuso" del diritto e altre condotte fraudolente, quali la simulazione di preliminare che abbia dato luogo ad esborsi, successivamente determinando una perdita fittizia in capo ad una società. la condotta è stata reputata penalmente illecita ai sensi dell'art.4 del d.lgs. 74/2000 (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 13107/2018).

Note

nota1

Secondo D'Amelio, Abuso del diritto, in N.sso Dig. it., 1957, pp.95 e 96, il diritto soggettivo non corrisponde ad un concetto assoluto. Esso possiede una proporzione e come tale ha un limite, oltre al quale non merita più protezione. Il problema non si pone quando il limite stesso viene fissato dalla legge. Se ciò non avviene bisogna al contrario ricercarlo. Si abusa del diritto quando si passa il suo limite obiettivo o si mira a conseguire uno scopo diverso da quello per il quale il legislatore ha concesso il diritto.
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nota2

Si veda Romano, Abuso del diritto, in Enc. dir., I, 1958, p.167, il quale parla di criterio della funzione, considerata nel necessario rapporto di corrispondenza tra il potere di autonomia conferito al soggetto e l'atto di esercizio di questo potere. Il non esercizio o l'esercizio secondo criteri diversi da quelli imposti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere.
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nota3

Al contrario in altri ordinamenti è prevalsa la scelta positiva circa la codificazione espressa di tale principio. L'art. 2, II comma, del Codice Civile svizzero infatti recita: "Il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge".
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nota4

Così p.es. Rotondi, L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923.
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nota5

Cfr. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p.77.
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nota6

V. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Istituzioni di diritto civile, Genova, 1978, p.384.
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nota7

Tale opinione è espressa p.es. da Natoli, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, p.18 e ss..
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nota8

Tra gli altri Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, p.68.
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Bibliografia

  • D'AMELIO, Abuso del diritto, Torino, N.sso Dig. it., 1957
  • NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, Riv.trim.dir. e proc.civ., 1958
  • ROMANO, Abuso del diritto, Milano, Enc.dir., I, 1958
  • ROTONDI, L'abuso del diritto, Riv.dir.civ., 1923
  • SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002

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