L'art.
2044 cod. civ. sinteticamente dispone che "non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri". Secondo la giurisprudenza, la citata norma ha operato un rinvio implicito alle disposizioni che, in materia penale, regolano l'istituto (cfr. Cass. Civ. Sez. III,
753/78 ). In particolare, l'art.
52 cod. pen. prevede che "agisce in legittima difesa chi commette il fatto per esservi stato costretto "dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa". Per effetto dell'entrata in vigore della l. 13 febbraio 2006 n.
59 alla norma sono stati aggiunti gli ulteriori commi "Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al I comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non v'è desistenza e vi è pericolo di aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale" .
Il fondamento dell'istituto è dato da un'esigenza insopprimibile dell'uomo di conservare se stesso ed i propri beni, opponendosi alle aggressioni altrui. A tale esigenza, cui l'ordinamento accorda rilievo solo laddove non sia possibile il ricorso alla protezione dello Stato, si accompagna, altresì, una funzione di stabilizzazione dell'ordinamento.
Come per le altre cause di giustificazione, alla base della legittima difesa vi è sempre un bilanciamento di beni o interessi, risolto nel senso della legittimazione del comportamento che preserva il bene o l'interesse prevalente: in particolar modo, tra i contrapposti interessi dell'aggredito e dell'aggressore, l'ordinamento accorda preferenza al primo, ma non trascura il secondo, ponendo il limite della proporzionalità tra pericolo, cui il bene viene esposto, e reazione del titolare.
Quanto all'oggetto della difesa, esso può consistere in qualsiasi diritto, proprio o altrui. La locuzione, usata dal legislatore, è volutamente ampia, al fine di ricomprendervi qualunque situazione giuridica soggettiva attiva (sono inclusi, quindi, anche gli interessi legittimi), relativa a beni sia di natura personale (vita e integrità fisica; libertà personale; onore e riservatezza) sia di natura patrimoniale (proprietà e diritti reali minori; possesso; ecc.)
nota1 .
Per quel che concerne i presupposti della legittima difesa, essi sono individuati nell'attualità del pericolo, nell'ingiustizia dell'offesa, nella necessità della difesa e, infine, nella proporzione tra difesa ed offesa.
- Il primo presupposto è costituito dall' attualità del pericolo, che si realizza quando la rilevante possibilità che la lesione si verifichi è già presente e non è più meramente potenziale. Tale presupposto è strettamente correlato all'impossibilità, per il soggetto aggredito, di far ricorso all'intervento statuale per ottenere una pronta tutela del proprio interesse: soltanto l'imminenza della lesione legittima l'autodifesa, che, viceversa, non sarebbe giustificata laddove fosse possibile l'intervento dell'autorità all'uopo preposta. Inoltre, l'espressione legislativa prescinde dal tentativo o dalla consumazione dell'illecito, essendo quest'ultima indifferente ai fini dell'integrazione del pericolo.
- Il secondo presupposto è integrato dall' ingiustizia dell'offesa: tale presupposto manca ogniqualvolta la lesione sia imposta dall'ordinamento ovvero sia positivamente autorizzata. Così, ad esempio, nel primo caso, l'offesa è giusta quando sia arrecata nell'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordina legittimo dell'autorità. Nel secondo caso, invece, l'offesa è giusta, quando sia costituita, ad esempio, da una legittima difesa. Viceversa, manca una norma di positiva autorizzazione quando l'offesa è arrecata da un soggetto non imputabile o non punibile per altra causa.
- Quanto alla necessità della difesa, essa deve essere intesa non nel senso che debba essere esclusa in assoluto qualsivoglia alternativa difensiva, ma nel senso che non sussista un'altra possibilità egualmente efficace e moralmente accettabile. Invero, la giurisprudenza esclude l'invocabilità della legittima difesa quando sussiste la possibilità per il soggetto aggredito di sottrarsi, con la fuga, all'atteggiamento minaccioso ed aggressivo della controparte (Cfr. Appello di Cagliari, 10/09/1993 ), nota2. Questa impostazione potrebbe mutare alla luce delle modificazioni introdotte nella norma in esame per effetto della novella del 2006. Infatti parrebbe autorizzato l'uso delle armi anche ogniqualvolta "non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione", sia pure negli speciali ambiti del proprio domicilio o del luogo ove si svolge l'attività professionale. Inoltre, la disposizione legislativa sulla legittima difesa, a differenza di quella sullo stato di necessità, non menziona l'involontarietà del pericolo, sicchè la fattispecie scriminante è da riconoscere pur nell'ipotesi in cui l'aggredito abbia, in tutto o in parte, determinato la situazione di pericolo ovvero l'abbia prevista e accettata.
- Infine, deve sussistere una proporzione tra difesa ed offesa. Nonostante una remota pronuncia giurisprudenziale parli di "equivalenza", tra difesa ed offesa deve sussistere un rapporto di proporzionalità. In particolar modo, il giudizio di proporzionalità deve instaurarsi non solo tra beni in astratto considerati, ma deve anche comprendere tutte le circostanze oggettive e contingenti, nonchè i mezzi concretamente a disposizione dell'aggredito per difendersi. Ad esempio, la giurisprudenza ha escluso la proporzionalità nel fatto dell'agente di polizia che, sopraggiunto immediatamente dopo la commissione di una rapina in una farmacia, mentre il rapinatore si stava allontanando, per sottrarsi alla cattura, impugnando una pistola a scopo difensivo, abbia esploso all'indirizzo dello stesso, che si proteggeva con il corpo del farmacista, un colpo di arma da fuoco il quale abbia attinto anche un cliente. Tale ipotesi, secondo la Suprema Corte, rientra piuttosto nella previsione di eccesso colposo nell'uso legittimo di armi, per avere l'agente superato per errore i limiti imposti dall'art. 53 cod. pen. , che legittima tale uso solo nel caso in cui l'agente vi sia costretto dalla necessità di vincere una resistenza all'autorità. Infatti, i requisiti della costrizione e della necessità presuppongono la proporzione tra l'interesse che l'adempimento del dovere di ufficio tende a soddisfare e l'interesse che viene offeso per rendere possibile tale adempimento. Detta proporzione va esclusa nella specie, in presenza di una situazione in cui la tutela dell'incolumità fisica e della vita delle persone presenti nella farmacia, beni di cui, secondo la valutazione del giudice del merito, era ben prevedibile la lesione in caso di uso dell'arma, avrebbe dovuto prevalere sull'interesse alla cattura del rapinatore ed al recupero della refurtiva (Cass. Civ. Sez. III, 2091/00 ). Il rapporto di proporzionalità in considerazione deve inoltre fare i conti con la riforma operata nel 2006, sia pure limitatamente alle ipotesi in cui l'aggressione avvenga entro le mura domestiche ovvero nei luoghi ove viene esercitata da parte di chi si difende l'attività professionale o commerciale. In questo caso l'uso delle armi legittimamente detenute deve reputarsi scriminato quando "non vi sia desistenza" e sia presente "pericolo di aggressione". La modifica della norma in esame è stata sicuramente ispirata dall'esigenza di rendere praticabile la legittima difesa in una serie di ipotesi in cui l'operatività delle scriminante pareva dubbia. Soltanto l'applicazione pratica delle nuove regole chiarirà l'effettiva portata dell'innovazione .
L'art.
2044 cod. civ. , disponendo che la responsabilità per danni sia esclusa quando il danno è arrecato per difendere sè od altri contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che vi sia proporzione tra difesa e offesa, scrimina il fatto nella sua interezza. L'effetto è, dunque, quello di detergere il fatto dalla sua antigiuridicità. In tal modo si differenzia dall'
eccesso colposo di legittima difesa nel quale, venendo a mancare il requisito della proporzionalità, vi è come conseguenza che la reazione difensiva, per effetto del suo trasmodare in eccesso, termina di essere legittima dando luogo ad un fatto illecito soggetto alla sanzione penale e fonte di obbligazione civile risarcitoria (Cass. Civ. Sez. III,
6875/00 ).
La legittima difesa, inoltre, a differenza dello stato di necessità, esonera l'agente non solo dal risarcimento del danno, ma anche dalla corresponsione di qualsivoglia indennità.
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Note
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Controverso è se il diritto altrui possa consistere anche in un bene collettivo, di carattere superindividuale (ad esempio, l'ordine pubblico). Per la soluzione negativa, M. Romano,
Comm. sist. del Cod. Pen, vol. I (artt. 1-84), Milano, 2004,
sub art. 52, p. 554, secondo cui, se si estendesse la legittima difesa anche a questi casi, vi sarebbe un'indebita intromissione del privato nei compiti dello Stato, nonché una inammissibile e pericolosa fuoriuscita dell'istituto dai limiti corrispondenti alla sua tradizione liberale.
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nota2
Secondo M. Romano, op. cit., sub art. 52/13, sarebbe tuttavia eccessivo affermare che tutte le volte che l'aggredito possa mettersi in salvo anche con una turpis fuga, egli sia obbligato a farlo; diversamente, invece, secondo l'autore, se vi sia la possibilità di un commodus discessus, cioè di un allontanamento non pericoloso ne disonorevole. Si veda, altresì, Diana, in Note in tema di legittima difesa e commodus discessus nel diritto civile (nota a sentenza Appello di Cagliari,
10/09/1993 , in Riv. giur. Sarda, 1995, vol. II, p. 24).
top2Bibliografia
- DIANA, Note in tema di legittima difesa e commodus ..., Riv. giur. Sarda, vol.II, 1995
- MARIO ROMANO, Comm. sist. del cod. pen. , Milano, I (artt. 1-84), 2004